1 Ιουλίου 2023

A oltre dieci anni dalla Grande Crisi: l’economia greca ha davvero voltato pagina?


Δημοσιεύτηκε στο περιοδικό «Altreconomia» (Ιούλιος-Αύγουστος 2013)

Stando ai recenti articoli di testate giornalistiche autorevoli come The Economist e Financial Times, la Grecia viaggia in un’altra dimensione rispetto agli anni terribili della crisi, quando l’economia ha perso un quarto del Prodotto interno lordo, una famiglia media ha perso quasi un terzo del suo potere d’acquisto, e la disoccupazione è salita fino al 28.7%. Ora l’economia greca corre più veloce della media europea, le esportazioni registrano un boom, e la disoccupazione è scesa al 11,2%.

La narrazione ottimista sull’andamento dell’economia non è priva di fondamento. Il livello degli indicatori che avevano tanto spaventato i mercati nel 2010 è oggi nettamente migliorato. Il disavanzo pubblico (2,3% del Pil nel 2022) è molto più basso di quello italiano (8,0%). Il debito pubblico, pur enorme (171,3% del Pil nel 2022), è in calo e soggetto a tassi d’interesse agevolati fino al 2030. Infine, il valore delle esportazioni di beni e servizi sul Pil è decollato al 48,6% nel 2022, lontano anni luce dal 18,9% del 2009.

Tutto bene quindi? Non esattamente. Tanto per cominciare, la crescita verticale delle esportazioni è significativamente distorta da due voci molto particolari: i trasporti marittimi internazionali (largamente oltre la portata del fisco), e le raffinerie (che importano carburante grezzo per poi riesportarlo appunto raffinato). Al netto di queste due voci, l’aumento del tasso delle esportazioni sul Pil è meno spettacolare: 29,5% nel 2022, rispetto al 16,2% del 2009.

Inoltre, il peso del turismo nell’economia nazionale resta fondamentale: un quinto del Pil, un quarto dell’occupazione, quasi la metà di tutte le esportazioni. Ma il turismo genera poche entrate fiscali, e troppi posti di lavoro di bassa qualità, mentre nel lungo termine, è vulnerabile a rischi sia geopolitici che climatici. Ancora peggio, di pari passo con la ripresa economica sono tornate a crescere anche le importazioni, in misura ancora maggiore rispetto alla crescita delle esportazioni. Risultato: il disavanzo commerciale con il resto del mondo è passato dallo 0,9% del Pil nel 2019 al 9,4% nel 2022. Non siamo ancora arrivati ai livelli raggiunti prima della crisi (11,9% del Pil nel 2007 e nel 2008), ma poco ci manca.

Nel frattempo, i salari sono fermi oppure crescono meno dell’inflazione. Secondo i dati del ministero del lavoro, lo stipendio mensile medio lordo è passato dai 1.118 euro nel 2021 ai 1.176 euro nel 2022, un aumento del 5,2%: troppo poco per compensare l’aumento dei prezzi (9,3% nel 2022). Alla perdita di potere d’acquisto si aggiunge il fatto che l’inflazione colpisce i poveri più dei ricchi, per il semplice motivo che per i primi la spesa per abitazione, energia, e alimentari rappresenta una quota maggiore del reddito rispetto ai secondi.

In un certo modo, le radici di tutte le notizie recenti dell’economia greca, sia positive che negative, vanno cercate nella gestione di quella crisi, a colpi di austerità e svalutazione interna. Per colmare la distanza fra bassa produttività e consumismo sfrenato, la Troika dei creditori (Ue-Bce-Fmi) ha puntato troppo sulla riduzione dei consumi, e troppo poco sull’aumento delle capacità produttive. L’eccesso di austerità e di “riforme strutturali” ha condannato la Grecia a rimanere un’economia poco performante anche negli anni a venire.

L’indebolimento dei sindacati è stato uno dei perni in questa strategia: in termini reali, i salari medi sono circa 25% più bassi rispetto al 2009, mentre il tasso di copertura dei contratti collettivi è sceso nel giro di pochissimi anni dal 100% del 2010 al 14% nel 2014.

La questione è se una cosiddetta “alta via” allo sviluppo è compatibile con relazioni industriali squilibrate, in un contesto istituzionale che concede molta flessibilità alle aziende ma offre poche garanzie ai lavoratori. Per ora, l’economia greca sembra intrappolata in un equilibrio di bassa produttività, basse qualifiche, e basse retribuzioni.