Δημοσιεύτηκε στη μηνιαία εφημερίδα «Eureka» (Οκτώβριος 2009)
Le elezioni politiche del 4 ottobre sembrano destinate a segnare la fine dell’epoca – tra l’altro piuttosto breve – di maggioranze del centrodestra, ed a riportare i socialisti al governo. Non solo perchè questo ci raccontano i vari sondaggi: ormai sono gli esponenti e gli elettori stessi del partito conservatore di Nea Democratia ad essere rassegnati alla sconfitta, e angosciati dal timore che essa possa rivelarsi schiacciante.
A mio parere, una tale sconfitta sarebbe pienamente meritata. La Grecia è sicuramente stata governata male nel passato, ed è probabile che lo sarà ancora nel futuro. Ma lo storico dovrebbe tornare parecchio indietro nel tempo per imbattersi in un governo altrettanto incompetente e corrotto. Non ha molto senso elencare qua la saga interminabile degli scandali che hanno monopolizzato per un breve periodo ciascuno l’interesse dei media e dell’opinione pubblica, per poi lasciare la scena per fare spazio a quello successivo. Invece mi pare necessario ricordare che sullo sottofondo del degrado morale abbiamo anche vissuto il declino delle istituzioni pubbliche (dalla politica alla giustizia, dalla scuola ai servizi sanitari, dalle forze dell’ordine ai vigili del fuoco). A suo turno, il declino delle istituzioni ha lasciato i cittadini indifesi di fronte a nuovi rischi e insicurezze, ha contribuito a disastri ambientali, ha abbassato il livello di qualità della vita. L’economia, in teoria la carta vincente di tutte le centrodestre, ha perso terreno sul campo cruciale della competitività, retrocessa a livelli raggiunti dai paesi meno disastrati del terzo mondo. Infine, la corruzione sfrontata di ministri e dirigenti politici ha alimentato il logoramento ulteriore di quel poco di senso civico che rimane ancora nella nostra società eufemisticamente detta civile.
Tutto ciò non era per niente scontato cinque anni fa, quando il partito di Costas Caramanlis saliva al potere. Senza dubbio, i governi guidati da Costas Simitis avevano reso la Grecia un paese più europeo, l’economia più ordinata, e la società più aperta. Allo stesso tempo, i suoi governi avevano largamente fallito le riforme necessarie di fronte alla contestazione da parte di sindacati ed altri interessi di parte, mentre l’indiscussa integrità personale del premier stonava sempre di più al confronto con la corruzione abituale di dirigenti socialisti convinti della loro permanenza eterna al potere. In questo contesto, la necessità di un cambio generazionale e la speranza che una nuova classe dirigente potesse governare meglio erano sentite anche da chi non ha votato Nea Democratia alle elezioni del 7 marzo 2004. A pari misura, la delusione con l’operato di Costas Caramanlis e dei suoi governi oggi ha contagiato anche chi cinque anni fa aveva deciso di dare il suo consenso al centrodestra, magari con mille riserve.
Si tratta di una delusione profonda, di carattere quasi esistenziale, che va ben oltre la dialettica normale dell’alternanza politica. Significa che la società politica greca non riesce a produrre, non dico statisti, ma più modestamente politici che riescano a collocare le loro ambizioni in un quadro ampio in cui c’è spazio per una certa concezione (pur inevitabilmente di parte) dell’interesse pubblico. E rivela come il personale politico del centrodestra è contaminato dalle pulsioni primitive della borghesia da cui proviene: la ricerca dell’aricchimento immediato e a qualsiasi costo, nel disprezzo più assoluto delle regole elementari della convivenza civile.
Dunque, se le riflessioni riportate sopra sono fondate, la sconfitta preannunciata di Nea Democratia è da considerarsi meritata. Ciò vuol dire che una eventuale vittoria del Pasok di Giorgio Papandreu lo sarebbe altrettanto? Personalmente non ne sarei così sicuro. Il partito socialista, per volontà del suo fondatore Andreas Papandreu, è storicamente stato più movimento che partito, più abituato a puntare sul carisma del leader che a dibattere idee e programmi, più portato a rimpiangere le glorie del suo passato che a riflettere sulle ragioni delle sue sconfitte. Questo è un fatto rilevante, che può condizionare l’operato di un governo Papandreu, nel senso che è difficile capire non solo le misure concrete che esso potrebbe varare, ma perfino la direzione generale che vorrebbe seguire. Stiamo per essere governati da un partito che rassembla in un cocktail apparentemente incongruo vecchi fedeli al populismo e al clientelismo di Andreas Papandreou, insieme a dirigenti cresciuti ai tempi sobri e laboriosi del modernista Simitis (e soppravissuti alla fine della sua epoca), con l’aggiunta di personalità nuove non ancora messe alla prova. Il suo leader può rimanere paralizzato dai contrasti e dai limiti culturali del suo partito, oppure rivelarsi capace di dare un’impronta unitaria e moderna alle sue tante anime. È tutto da vedere.
Intanto, sarà già un’impresa combattere il cinismo diffuso e restituire ai greci quel senso di ottimismo e di fiducia nella loro capacità collettiva di tracciare un futuro migliore, che in quel nostro anno mirabilis 2004 sembrava così ben radicata, per essere poi smarrita di nuovo. Come nella leggenda di Sisifo, a noi greci non resta che cercare di riprendere il nostro cammino, che è tutto in salita.