Δημοσιεύτηκε στη μηνιαία εφημερίδα «Eureka» (Νοέμβριος 2009)
Nel caso improbabile che qualche lettore abbia trovato profetico il titolo del mio articolo nel numero del mese scorso (‘una sconfitta preannunciata’), devo confessare che si trattava di una profezia troppo facile. Invece, quello che non solo “Eureka” ma proprio nessuno è riuscito ad indovinare è stata la misura della sconfitta del partito conservatore di Nea Democratia, come la misura della vittoria dei socialisti del Pasok (che non è esattamente la stessa cosa). Pure gli exit polls, in teoria infallibili, stimavano la distanza fra i due maggiori partiti attorno al 5%, mentre poi lo scarto vero ha superato il 10%. Pare che - come a volte succede - anche gli opinionisti e i commentatori più autorevoli abbiano sottovalutato il disgusto profondo nella società alla corruzione e l’inaudita incompetenza del governo uscente, e la voglia di voltare pagina.
Oggi, a quattro settimane di distanza, è difficile negare che il cinismo e la paura del futuro hanno lasciato il posto a un diffuso ottimismo, paradossalmente creato dallo stesso risultato inequivocabile delle elezioni, ma poi alimentato dalle prime azioni del nuovo governo. Infatti, il premier Jorgos Papandreu ha gestito la vittoria con ovvia soddisfazione, ma senza trionfalismo, e ha cominciato a lavorare con serietà. La sua squadra conferma che in Grecia il “partito naturale di governo” è ormai quello socialista, capace di produrre una classe dirigente di un certo livello. Quasi tutte le persone che hanno assunto ruoli di primo grado si distinguono per la preparazione e l’integrità personale. Sono prime impressioni, certo, ma spesso contano anche loro.
Primi segni di svolta: L’impegno di due ministri importanti (degli interni e dell’ordine pubblico) di promuovere l’integrazione degli immigrati nella società (diritto di voto agli immigrati di seconda generazione), e nello Stato (posti di lavoro riservati nella polizia e le altre forze dell’ordine). Lo stop del ministro dell’ambiente alle costruzioni sorte nelle aree colpite dagli incendi degli ultimi anni, e la volontà di lavorare insieme agli ambientalisti per la revisione dello quadro legislativo per la protezione dell’ambiente. La franchezza del ministro delle finanze nello sforzo di ridare credibilità alla gestione dei conti da parte del governo, e di vincere la diffidenza dei partner europei. Forse il termine esatto è insofferenza degli altri governi Ue nei confronti dei greci (tutti), presunti - non sempre a torto - campioni del “massaggiare le cifre” e del nascondere la verità, allo scopo di evitare sanzioni e di chiedere nuovi aiuti.
Senz’altro è questa l’impresa più difficile. Tutte le economie dell’Unione Europea sono state colpite dalla crisi, ma nessuna come quella ellenica che deve ancora affrontare difficoltà preesistenti e strutturali. Il deficit del 2009 sembra destinato ad arrivare al 12%, una cifra che impone misure restrittive e limiti severi sulla libertà d’azione del nuovo governo. Comunque, quest’ultimo insiste sul suo programma di sostegni pur modesti ai ceti meno abienti, compensati dalla lotta agli sprecchi e all’evasione fiscale, dal ripristino delle tasse sull’eredità e dall’espansione della base imponibile.
Intanto, il nuovo governo gode di una luna di miele senza precedenti in tempi recenti: l’opinione pubblica è favorevole o quanto meno tollerante, mentre gli altri partiti si affrettano a promettere “un’opposizione costruttiva”, almeno per un po’ – tranne ovviamente KKE, storicamente il più antidiluviano di tutti i partiti comunisti dell’Occidente, il cui tradizionale filosovietismo si è recentemente trasmutato in stalinismo puro (anni ’50, o forse anni ’30, epoca d’oro della persecuzione più spietata di tutti gli oppositori o semplicemente presunti tali).
Per quanto riguarda il partito conservatore di Nea Democratia, il 33,5% ottenuto è il risultato peggiore della sua storia. L’ex premier Kostas Karamanlis ha rassegnato subito dopo la sconfitta le dimissioni ed ha aperto le procedure per l’elezione di un nuovo leader. Lascia un partito demoralizzato, che si trova di fronte a una scelta piuttosto strana. Da una parte c’è Dora Bakoianni, figlia di un’altro ex premier (Kostantinos Mitsotakis), esponente del vecchio centro liberale e perciò largamente considerata “estranea” alle sacre tradizioni conservatrici del partito. Dall’altra parte c’è Antonis Samaràs, l’uomo che ha provocato la caduta del governo Mitsotakis nel 1993, in teoria per dissenso sulla privatizzazione dell’OTE, compagnia statale delle telecomunicazioni, e fautore quale ministro degli esteri del governo Mitsotakis della linea ultranazionalista sulla nuova questione macedone. Tornato nella Nea Democratia dopo il declino del nuovo partito che allora fondò, e privo di qualsiasi idea che non rientri nello solito schema Patria-Religione-Famiglia, si candida oggi a diventarne leader. Resta da vedere se a questo centrodestra rimane ancora qualche piccola dose di spirito di soppravivenza, per non parlare di buon senso.