Δημοσιεύτηκε στη μηνιαία εφημερίδα «Eureka» (Απρίλιος 2004)
Le elezioni politiche del 7 marzo hanno segnato una svolta. Il partito socialista Pasok, che ha governato il paese negli ultimi 11 anni (e complessivamente non meno di 20 anni dal 1981), ne è uscito sconfitto. Non è servita a nulla la sostituzione di Costas Simitis come leader del partito e candidato premier con Giorgio Papandreu, ex-ministro degli affari esteri e figlio del fondatore del Pasok Andreas Papandreu. Il partito conservatore Nea Democratia ha ottenuto il consenso del 46% degli elettori, una vittoria netta che sembra garantire una legislatura portata regolarmente a termine.
Come al solito, la campagna elettorale ha trascurato quasi tutti i nodi decisivi per il futuro della Grecia. Più sorpredente è stata la mancanza di una valutazione seria sepur critica del periodo appena concluso. Simitis è stato il grande assente, e un silenzio imbarazzato ha avvolto i successi e i fallimenti dei suoi 8 anni al governo. Al contrario, è proprio quello il punto di partenza obbligatorio per capire l’alternanza greca.
Non c’è dubbio che gli 8 anni di Simitis al governo hanno cambiato il volto del paese. Nei primi anni ’90 la Grecia emanava un aria di disorientamento, insicurezza, instabilità. Simitis riuscì ad invertire questa tendenza. A modo suo, cioè senza far troppo rumore ma lavorando metodicamente, ha fatto emergere una Grecia diversa: un paese più europeo, con un’economia più ordinata, e con una società più aperta. L’ingresso nella zona dell’euro, la prospettiva di un Cipro membro dell’Ue e la liquidazione del gruppo terrorista 17 Novembre furono successi di portata storica. Pure lo stile personale di Simitis, la sua avversione alla demagogia e alla retorica tipica di una certa politica, la sua prontezza a fare un passo indietro al momento giusto, hanno fissato gli standard con cui l’opinione pubblica giudicherà (magari inconsapevolmente) i leader politici che hanno preso il suo posto.
Le ombre non sono mancate. Le riforme necessarie e tante volte annunciate dello Stato e delle sue istituzioni (sanità, istruzione, pensioni, giustizia, amministrazione pubblica) hanno avuto un esito poco soddisfacente o addiritura deludente. La sfiducia reciproca fra Stato e cittadino continua ad essere la manifestazione più tipica dell’arretratezza greca e delle resistenze alla modernizzazione. Infine, l’integrità personale di Simitis, riconosciuta anche dai suoi avversari più accaniti, ha spesso stonato al confronto con la corruzione abituale di una parte della classe politica che sembrava convinta della sua permanenza al potere.
In questo senso, l’alternanza era inevitabile, forse anche un bene per la democrazia greca. Il declino morale della politica italiana e del suo partito dominante, la Dc, dall’ austerità di De Gasperi degli anni ’40 allo spettacolo decadente tutto “nani e ballerine” degli ultimi anni ’80 insegna i pericoli di qualsiasi sistema politico bloccato.
Sarà capace il nuovo governo di incidere meglio sui problemi ereditati?
Costas Caramanlis, il nuovo premier, si è dimostrato un leader intelligente ed abile. La sua moderazione è fuori discussione. Nel momento di vittoria, sia lui che i suoi collaboratori più fidati si sono comportati con correttezza e serietà. Ministeri chiave, come quello dell’economia, sono stati affidati a persone di alto livello. Tutti segni positivi.
È la composizione della coalizione sociale che ha portato Nea Democratia al potere a sollevare questioni inquietanti. La sconfitta del Pasok fu la vittoria della “Grecia profonda”: agricoltori, commercianti, pensionati, abitanti dei quartieri popolari, persone poco istruite, attaccate alle tradizioni e all’identità nazionale-ortodossa, timorose della globalizzazione, sospettose dell’Occidente, apertamente ostili nei confronti degli immigrati. Come stabilito recentemente da ricerche europee su attitudini sociali, queste opinioni sono condivise da una maggioranza netta, se non addiritura schiacciante.
Non c’è dubbio che la “Grecia profonda” condizionerà l’azione del nuovo governo. Esponenti della “destra popolare” sono ben rappresentati, soppratutto nei ministeri sociali, indicazione forte che il nuovo governo cercherà di evitare la patata bollente delle pensioni più che può. In generale, anche se personalmente più moderno del suo partito, Caramanlis ne ha imposto un’identità conservatrice e moderata piuttosto che liberale. La rottura dei rapporti con esponenti storici dell’ala liberale come Stefanos Manos ed Andreas Andrianopoulos, che successivamente si sono alleati col Pasok, è stata una scelta consapevole del leader di Nea Democratia. Forse il test decisivo sarà lo spazio politico concesso alla Chiesa. Per il momento, questo è da vedere, anche se il trionfalismo del nostro Arcivescovo per la sconfitta di chi come Simitis ha osato sfidarlo non augura bene.