3 Ιουλίου 2015

La Grecia decide il proprio futuro

Δημοσιεύτηκε στον ιταλικό διαδικτυακό τόπο ανάλυσης της δημόσιας πολιτικής «lavoce.info» (Παρασκευή 3 Ιουλίου 2015)

Come in ogni tragedia greca che si rispetti, c’è qualcosa di inevitabile negli eventi degli ultimi giorni. Un giovane presuntuoso e i suoi collaboratori, ubriachi dal trionfo, si comportano con arroganza in patria e all’estero, insistendo che tutti devono piegarsi alla loro volontà, perchè il loro mandato vale più di quello altrui.

Cinque mesi dopo, il nuovo governo greco si ritrova con le spalle al muro. Nel frattempo è riuscito ad alienare chi sperava che il suo arrivo in scena avrebbe allentanto i vincoli di austerità, facilitando un ripensamento della politica economica a livello europeo. Invece no: l’unico risultato sostanziale delle buffonate di Varoufakis e i suoi colleghi è stato quello di ricompattare la fragile unità europea, ma nel senso “sbagliato”: rafforzando la linea ordoliberale di chi come Schäuble vedrebbe di buon occhio un’ Europa senza la Grecia.

Per il resto, grande amicizia con la Russia di Putin (con tanto di inchino del ministro dell’energia greco al dirigente di Gazprom in diretta televisiva), continuità lineare con le peggiori tradizioni corrotte e clientelari (dalle ondate di assunzioni di cugini, nipoti, amici e amanti, ai primi grossolani conflitti d’interesse), e svolta autoritaria (con inasprimento della retorica forcaiola, e uso disinvolto delle istituzioni statali a fini strettamente di parte).

Per quanto riguarda la politica sociale, le tanto attese misure contro la “crisi umanitaria” si sono presto rivelate meno generose di quelle palesemente inadeguate dei governi precedenti. Sul fatto che solo 1 su 10 disoccupati percepisce qualsiasi prestazione sociale di sostegno al reddito (nel paese campione europeo della disoccupazione) regna il silenzio assoluto. Il reddito minimo, promosso dalla Commissione Europea, viene bollato dal ministro responsabile come “roba africana voluta dal Fmi”. Allo stesso tempo, secondo gli ultimi dati ufficiali, tra chi è andato in pensione a maggio 2015, 1 su 4 ha età inferiore a 55 anni (addirittura 1 su 3 nel settore pubblico). Ma “le pensioni non si toccano”, e visto che quelle basse non le vuole comunque toccare nessuno, vengono difese a spada tratta soppratutto quelle baby e d’oro.

Dopo 5 anni di austerità e 7 anni di depressione, l’economia greca era tornata a crescere nel 2014. Si trattava di una ripresa timida e pallida: +1%. Ma intanto la disoccupazione cominciava a scendere, seppure di poco. Ora non più: nei primi mesi del 2015 la Grecia è ancora una volta in recessione, e la disoccupazione sta di nuovo crescendo.

Alexis Tsipras è arrivato al potere promettendo agli elettori una medicina miracolosa e indolore: “Stracceremo gli accordi con la Troika, aboliremo l’austerità con un atto parlamentare”! A chi si chiedeva: “Se è così facile, come mai nessun governo l’aveva pensato prima?” rispondeva “Perchè chi era al governo prima era servo dei creditori. Al contrario di loro, noi nelle trattative saremo duri.” “E se i creditori non cedono?” “La probabilità che succeda qualcosa del genere è meno di 1 su 1.000.000” aveva dichiarato Tsipras in una ormai famosa intervista televisiva pochi giorni prima delle elezioni di gennaio scorso.

Adesso è successo quello che non sarebbe mai successo. Il governo che avrebbe messo fine all’austerità ha offerto ai creditori un programma di 8 miliardi di euro (cioè poco meno di quello proposto dai creditori stessi), ma molto meno credibile (composto al 93% di improbabili aumenti di tasse). A questo punto, invece di sporcarsi le mani con un nuovo accordo, Tsipras e Varoufakis hanno preferito passare la patata bollente agli elettori, anche a rischio di Grexit, lasciando scadere il programma attuale (a martedì 30 giugno), e dando la colpa all’Europa “lontana dalle radici democratiche” ecc. ecc.

Grazie alla decisione di Mario Draghi di non peggiorare la situazione, la Bce non ha staccato la spina al sistema bancario (come presumibilmente imporrebbe il suo statuto), ma non ha neanche aumentato l’inezione di liquidità (come un po’ incoerentemente chiedeva il governo greco). Risultato: capital controls, limite di prelevamento a 60 euro al giorno, code di pensionati e casalinghe. E sgomento, rabbia, paura.

La scomessa di Tsipras era che, con un richiamo da manuale al ferito orgoglio nazionale, la vittoria al referendum sarebbe assicurata. Puntualmente, lo schieramento a favore del “No”, oltre ai nazionalisti di Kammenos ministro alla difesa, si è allargato a comprendere i nazionalsocialisti di Alba Dorata. Cosa mai potrebbe andare storto per il governo?

Certo, il Consiglio di Europa, che non si occupava della Grecia dai tempi dei colonnelli, ha espresso il suo allarme per le (tante) irregolarità di questo referendum, e per la mancata imparzialità delle istituzioni dello Stato. Ma (come hanno subito spiegato gli opinionisti del regime) tanto si sapeva già che l’Europa non sopporta più il governo greco.

Quello invece che non ha potuto prevedere Tsipras e i suoi era il risveglio della Grecia europeista - quasi del tutto priva di rappresentanza politica, ma decisa lo stesso a difendere le conquiste più nobili degli ultimi 40 anni: democrazia avanzata, orientamento europeo, e (nonostante tutto) prosperità e coesione sociale. Le masse di cittadini che hanno riempito Piazza Costituzione, non per insultare il governo, né tantomeno per rompere vetrine o bruciare macchine, ma semplicemente per dichiarare pacatamente la loro appartenenza greca e europea (“Restiamo in Europa!”), complicano i calcoli del governo.

E fanno sperare che un’altra Grecia è possibile.